Lo spettro di Calciopoli e i megafoni in affitto: apogeo e declino di una professione

Uno spettro si aggira per l’Italia: è lo spettro di Calciopoli, che ancora aleggia sulla Penisola. O per meglio dire, sulle redazioni di molte delle testate che riempiono il Belpaese di frasi, slogan e parole come “furto”, “vergogna”, “imbroglio”. L’ultimo nome della lunga lista è quello di Gianluca Pagliuca, che intervistato dal Corriere della Sera ha raccontato le sue verità (di cui tutto il mondo era in trepidante attesa). “Juve-Inter di quell’anno fu uno dei più grossi forti nella storia del calcio italiano. Allucinante, hanno tolto due Scudetti alla Juventus e non quello del 1998. Tra l’altro mi costò l’Inter perché un anno dopo arrivò Lippi, col quale avevo litigato e mi punì mandandomi via insieme a Bergomi e Simeone“.

INTERVISTE ILLUSTRI. Il nome del povero e bistrattato Pagliuca si aggiunge a quelli di Zamparini e Burdisso, che di recente hanno espresso i loro pareri (naturalmente del tutto super-partes, ndr) a proposito della vicenda Calciopoli attraverso le pagine di un quotidiano dal colore rosa (siamo sicuri che non indovinerete mai qual è). Qualche mese fa era toccato invece a Julio Cruz, dalle pagine del Guerin Sportivo, spiegare che “la parzialità era evidente. Alla fine la verità si viene a sapere. Questa vicenda ha fatto male a tutto il calcio italiano. I tifosi erano scettici e bisognava restituire credibilità a tutto il movimento ’’. Commenti? Evitiamo, è meglio.

IL GRAN CLASSICO. Senza dimenticare l’ormai ricorrente intervista al povero Gigi Simoni, il quale negli ultimi anni della sua vita potrebbe essere paragonato al grande Alcides Edgardo Ghiggia, che ha praticamente speso una vita intera a raccontare il gol che fece piangere il Brasile nel 1950. Ma il problema non è tanto nel raccontare, bensì nel fatto che qualcuno chieda ancora a Simoni (ed a Zamparini, Burdisso, Cruz, Pagliuca, ecc. ecc.) un parere sulle partite “incriminate” (da loro stessi, ovviamente) e su Calciopoli.

IL GRANDE INTERROGATIVO. La domanda che ci poniamo è: perché tutto ciò? Per quale motivo le risultanze processuali post-2006 vengono puntualmente e sistematicamente ignorate, per poggiarsi sul comodo adagio della “Juve che ruba”? Risposta immediata: “perché il luogocomunismo anti-juventino fa vendere giornali e fa guadagnare click sul web”. Ok, ci sta bene ma non basta. “Perché alcune realtà editoriali sono legate a doppio filo da interessi e quant’altro a determinati apparati economici che controllano alcune squadre di calcio, delle quali finiscono per fare i megafoni in affitto”: anche questo ci può stare, pur con tutte le derive dietrologiche e complottiste che vogliamo. “Perché in Italia il mestiere del giornalista è praticamente finito, e quando si fa un’intervista, la si fa solo e soltanto per compiacere l’intervistato. A prescindere da interessi, legami e potere”. Sipario.

Ghiggia zittì il Maracanà: e disse che dopo di lui soltanto Frank Sinatra e Giovanni Paolo II sono riusciti a fare altrettanto. Se riuscissimo a trovare la persona (o il motivo) che ha zittito il giornalismo italiano, forse potremmo campare anche noi di rendita su questa meravigliosa scoperta.

Gennaro Acunzo

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