La commovente storia di Massimo Piloni: “Ormai vivo con 900 euro al mese”

Una storia commovente quella di Massimo Piloni, ex guanto della Juventus e secondo di Dino Zoff, che ha raccontato alla Gazzetta dello Sport come deve fare per vivere. Anzi, per sopravvivere. Una situazione difficile ed impensabile, per colui che è stato alla corte della Signora per ben sei anni, dal 1969 al 1975. Ecco di seguito uno stralcio dell’intervista.

CONDIZIONE DIFFICILE – “La ruota della vita per me ha sempre girato nel verso sbagliato. Hanno già messo all’asta la casa dove vivo con mia moglie Rossana, la prima volta a ottobre è andata deserta. Ma la seconda vendita è dietro l’angolo. Ho debiti pregressi, due fallimenti alle spalle, viviamo con 900 euro al mese, io mia moglie, più mio figlio che non trova un lavoro… Andremo ad affittarci una stanza da qualche parte, come tanti stranieri che vivono in Italia. Se dovrò, lo farò con tutto il mio orgoglio. La vita continua lo stesso”.

IL DECLINO – “Non lo so, forse perché ho vissuto in un mondo di furbi e io sono stato l’unico sempliciotto. Mi sono fidato di certa gente. Ma io ho sempre fatto del bene a tutti, non ho nemici, ho aperto le porte di casa a chi aveva bisogno. Eppure evidentemente ho sbagliato tutto. I guai sono cominciati nel 2004 dopo l’esperienza col presidente Luciano Gaucci a Catania. Andai alla Sambenedettese a fare il preparatore dei portieri nell’anno in cui il patron vendette il club e i nuovi dirigenti mi emarginarono praticando il mobbing. Non mi pagavano e mi costringevano a venire da Ancona tutti i giorni e dovevo pure firmare in segreteria. Qualcosa di umiliante. Durò quattro mesi. In società c’erano Scaringella, Dossena, il procuratore D’Ippolito. Ballardini non potè far molto per me. Ero diventato un pupazzo. Ma non è stato solo questo…”.

CALCIO BEFFARDO – “Sì, il calcio si è dimenticato di un suo figlio che ha dato tutto se stesso, ha vissuto per gli altri. Ho pagato troppi pranzi a troppa gente. Posso ringraziare i Gaucci, che con me sono stati sempre eccezionali, e soprattutto il mio grande amico Sergio Brio, presentatomi da Pietro Anastasi ai tempi della Juventus: è l’unico in questi anni ad avermi dato un aiuto concreto, lui è un grande uomo. Gli amici dal cuore grande esistono, mi fido solo di lui. Mi mandava in tv facendomi prendere un bel gettone e ha organizzato a Roma una cena in mio onore (in programma stasera alle 20.30 al ristorante “I Meloncini” di viale Tor di Quinto, durante la serata il presentatore Mario Mattioli farà salire sul palco gli ex di Roma, Lazio e Juventus Spinosi, Giannichedda, Candela, Nela, Cordova, Chierico, Marcolin, Fiore, Cesar, Franceschini, Orsi, Caso, Venturin, Giordano, Felice Pulici e Viola davanti a 250 persone, ndr ) con tanti ex giocatori che non vedo da anni. Saranno momenti molto emozionanti”.

NESSUNO VICINO – “Nessun collega mi è rimasto vicino. Promesse, ma poi il nulla. A 67 anni sono sì disperato, ma lucido mentalmente. Posso lavorare, però certo non voglio farlo a dispetto dei santi. Mi interessa soprattutto che mio figlio Aldo possa trovare un posto di lavoro. Ha avuto una parentesi in una cooperativa che si occupava di pulizie, ma poi l’attività non è più proseguita. Che devo dire? Potrei andarmene presto, ho una certa età e non rifuggo la realtà, ma almeno se devo andare voglio farlo con la certezza di non lasciare la mia famiglia nelle difficoltà. Dei portieri che ho tirato su, da Iezzo a Storari, da Mazzantini a Pagotto fino a Castellazzi, ne ho sentiti pochi in questi ultimi anni. Ogni tanto mi chiamano soltanto Cavaliere, Aridità e Aprea. Mi piacerebbe ancora un’esperienza all’estero con Toshack, un grande allenatore che conobbi a Catania e che seguirei ovunque”.

ZOFF – “Non voglio rivangare il passato a 67 anni. Dino è stato un grandissimo portiere. Dico solo che ci restai molto male con lui quella volta in cui si giocò un’amichevole ad Ancona, la mia città, e lui non volle cedere il posto. Quel giorno venne mia mamma Anna Maria, che oggi ha 92 anni, e mia moglie si fece 600 chilometri per esserci. Non giocai neanche un minuto. Una delusione come fosse ieri. A Pescara invece andai grazie al mio padre putativo Tom Rosati: ero diventato un punto di riferimento, vincemmo il campionato di Serie B, i tifosi mi volevano bene. Poi conclusi la carriera tra Rimini e Fermo”.

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