Il “relativismo” (o sonno della ragione) di Massimo Moratti

Questa volta in fondo ha ragione, è davvero impossibile dargli torto. Il caro vecchio Massimo Moratti, che non si sa bene ora quale ruolo abbia nella seconda squadra di Milano, ha ribadito che lo scudetto al quale è più legato è quello vinto “a tavolino”. Il petroliere si riferisce alla stagione 2005/2006, che si concluse con la Juventus a 91 punti e la sua squadra a 76. Lezione di relativismo applicata al calcio: chi è relativista sostiene che una verità assoluta non esiste, oppure, anche se esiste, non è conoscibile o esprimibile o, in alternativa, è conoscibile o esprimibile soltanto parzialmente. Alziamo le mani, dunque, al cospetto dell’erede di Karl Popper: «Tutta la conoscenza rimane fallibile, congetturale….la scienza è fallibile perché la scienza è umana».

Ricapitolando: 91-76=15, e questa è matematica. Se la matematica è una scienza, e la scienza è fallibile, allora dobbiamo convenire che ha ragione Lui. Su quali basi, non lo sappiamo, ma siamo sicuri che non tarderà a spiegarcelo. D’altronde non stiamo mica parlando di un campionato che non è mai stato oggetto di nessuna indagine, e che ha fatto seguito ad un altro campionato che è stato dichiarato “non alterato” dal Tribunale di Napoli? No perché se fosse così, sarebbe il caso di proporre il caro Massimo per un Tso d’urgenza, ma siamo sicuri che la ratio di questo suo ragionamento sia da ricercare del relativismo culturale di cui sopra.

Potenza della filosofia, potenza della faccia tosta, o potenza del servilismo tipico dei media italiani? Prove false, guardalinee obbligati a modificare i referti, cene coi designatori, regali, telefonate, bilanci taroccati, pedinamenti, passaporti fasulli. E infine, una grossa grassa prescrizione ad annullare l’accusa di illecito sportivo mossa dalla Procura Federale della Figc, uno Scudetto assegnato da un comunicato stampa di un organo federale commmissariato (presieduto da un ex sodale del caro Massimo…), lo stesso che qualche anno dopo si sarebbe dichiarato “incompetente” in merito.

La società aperta è aperta al maggior numero possibile di idee e ideali differenti, e magari contrastanti. Ma, pena la sua autodissoluzione, non di tutti: la società aperta è chiusa solo agli intolleranti“, diceva ancora Popper. Non vogliamo certo esser tacciati d’intolleranza, ma ci piacerebbe domandare al signor Karl se la sua “società aperta” comprendesse anche i colpevoli di un certo numero di reati. Nel qual caso, per tornare al caro Massimo, ha ragione Lui.

Gennaro Acunzo

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